Storia della cucina

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Era il 1963; dieci anni prima Orio Vergani, fondando l’Accademia italiana della Cucina, aveva lanciato un profetico grido d’allarme sul pericolo della scomparsa della nostra preziosa cucina regionale che invece mostra usi, costumi, tradizioni assai radicati e differenziati che hanno trovato dei punti di contatto soltanto attraverso le mode di alcune industrie alimentari che si sono sviluppate in Italia particolarmente dopo il secondo conflitto mondiale soprattutto per l’influenza che gli Stati Uniti esercitano sulle nostre abitudini e sulla nostra cultura; alimenti che si sono però diffusi in modo parallelo rispetto alla gastronomia regionale che per molti aspetti si è mantenuta saldamente legata alle tradizioni e che oggi più che in altri periodi viene valorizzata. Proprio in contrapposizione al diffondersi del fast food e dei cibi confezionati, molto sentita in ampi strati della popolazione italiana è l’esigenza di ricercare sapori antichi, prodotti genuini, cibi semplici che si rifanno – magari arricchiti – alla cucina povera e alla cucina contadina d’altri tempi. Una cucina spesso di “recupero” che viene impreziosita da nuovi apporti e dalla maggiore possibilità di consumi. Ma che sempre più spesso viene consumata al ristorante perché per la nuova organizzazione socioeconomica del nostro paese e per il ruolo che in essa spetta alla donna i lunghi tempi richiesti dalla cucina d’altri tempi non sono più prevedibili. Naturalmente la facilità di contatti con il mondo intero consente un po’ ovunque (e anche questo potrà diventare un elemento qualificante) l’importazione di piatti e prodotti di altri paesi (dall’Africa, dal Giappone, dall’India ecc.) che si inseriscono negli usi alimentari del nostro paese anche come conseguenza della formazione di una società multirazziale e pertanto multiculturale che in questi anni si va sviluppando a ritmi serratissimi.